giovedì 2 dicembre 2010

Vin Santo toscano e Vin Santo di Gambellara a confronto



Il Vinsanto è uno dei prodotti maggiormente legati alla memoria della nostra gente, evoca l'immagine della campagna, del mondo rurale, della famiglia colonica.
Forse non tutti sanno che questo vino viene prodotto solo in tre regioni italiane: la Toscana, il Trentino e il Veneto.
Parlando prima di Toscana, non c'era famiglia che non possedesse in casa (e per lo più questa tradizione rimane ancora viva soprattutto nei centri periferici) una bottiglia di vinsanto da offrire all'ospite. E' da sempre simbolo di amicizia ed ospitalità: sempre offerto a chi fa visita. Protagonista per eccellenza di ogni ricorrenza che meritasse un brindisi. Era in uso nelle famiglie contadine riunirsi nell'ultimo giorno di carnevale e festeggiare con cenci e vinsanto. Simbolo altresì di una certa acquisita agiatezza, era tenuto in gran conto e neppure le classi meno abbienti ne rimanevano sprovvisti (sempre si offriva un bicchiere di vinsanto). Gradito anche dalle donne; per le quali si faceva un altro vino detto "vino dolce" (considerato più femminile) che era "serbato" per i periodi di gravidanza e dopo parto.

Di questo nobile vino, che gode di una gran fama, si conosce ben poco tant'è che la letteratura più o meno specifica sull'argomento non lo rammenta fino alla seconda metà del '700. Anche sul perché si chiami vinsanto non esiste una documentazione certa, ma ci sono ben otto ipotesi. Una legata al nome del Concilio di Firenze del 1439 e precisamente all'arcivescovo di Nicea - Bressarione che nell'assaggiare un calice di vino dolce a fine banchetto esclamò "Xantos" (si riferiva ad un vino simile originario di Xantos). I commensali intesero che il termine fosse stato esclamato per esaltare il vino servito. Pare che prima di tale concilio il vinsanto fosse chiamato "Vin Pretto" (puro, schietto, non mischiato). Tale termine è usato nelle nostre campagne per identificare il vino non annacquato.

Il vinsanto, comunque, ci riporta all'usanza tipica di appassire le uve come avviene per altri prodotti, ad esempio i pomodori a boccole e i fichi. Fino al '700 non si parlò di vinsanto nei trattati di vitivinicoltura, ma in Toscana si produceva già da molto tempo prima, un vino ottenuto da uve appassite: "l'occhio di pernice". Alcuni enologi sostengono l'ipotesi che proprio in Toscana esistesse una varietà di uva detta appunto occhio di pernice. Secondo D. Falchini (XVIII - Trattato di Agricoltura) l'occhio di pernice si otteneva da uve: trebbiano, moscato di Siracusa e Canaiolo. Questo vino è ampiamente argomentato per la prima volta dal Villafranchi (1773 Oneologia Toscano) per istruire sulla "Maniera di fare Vin Santo" e solo uve bianche andranno nell'uvaggio: Trebbiano e Malvasia del Chianti.

La qualità del Vinsanto dipende da molti fattori: l'uvaggio - la durata dell'appassimento dell'uva sui cannicci, - la torchiatura - le caratteristiche del vinsanto e l'annata. interessante sapere che per, ottenere dopo un periodo di tre anni, in caratello, 25 litri di vinsanto, occorre un quintale di uva fresca. Il periodo adatto per produrre il Vin Santo è quello fra Natale e l’ Epifania e servono buoni "caratelli" di legno e la "madre". Per mantenere intatto il Vin santo si spalmava il caratello con il catrame. Ecco spiegato il motivo per cui il vero Vinsanto non può costare poco. Qualità e gusto valgono bene un "piccolo sacrificio" a tutto vantaggio della salute, poiché il vinsanto è un buon digestivo.


Parlando di Veneto, il Vin Santo di Gambellara è unico al mondo perché unico al mondo, e sconosciuto finora, è il lievito che lo caratterizza. L’ha scoperto, nell’anno internazionale della biodiversità, l’Università di Verona e ha intenzione di chiamarlo Zygosaccharomyces gambellarensis, per legarlo indissolubilmente con il territorio di origine.
Questo quanto emerso dal convegno “Progetto di miglioramento dei processi di appassimento e di lavorazione delle uve e caratterizzazione del Vin Santo di Gambellara”, che si è svolto all’interno della cantina Vignato Virgilio a Gambellara.
Gli scopi di questo progetto pluriennale, iniziato nel 2004, sono stati illustrati in apertura dei lavori dal coordinatore Angiolino Maule, che della ricerca è stato anche promotore e motore: “Abbiamo recuperato 50 anni di storia in cui il Vin Santo sembrava perduto grazie a questa ricerca - ha dichiarato Maule - e abbiamo finalmente fatto un po’ di chiarezza sulle differenze che ci devono essere fra il Recioto e il Vin Santo”.
Il professor Roberto Ferrarini, del Dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona, ha invece illustrato lo studio che è stato fatto sulle cinetiche di appassimento e sulla loro influenza sul prodotto finale, sulla presenza della muffa nobile Botrytis cinerea nelle uve, che sembra essere non determinante, e sull’identificazione di un profilo sensoriale condiviso del Vin Santo.
Alla professoressa Sandra Torriani, l'onere invece di illustrare al numeroso pubblico la scoperta di questo nuova specie di lievito e l’individuazione di 5 ceppi di lieviti autoctoni che potranno essere utilizzati come valido strumento per gestire al meglio il processo fermentativo, così importante per la qualità del Vin Santo.
“Il Consorzio proseguirà nei prossimi anni il lavoro di ricerca - ha concluso il Presidente Giuseppe Zonin – con delle microvinificazioni atte a studiare meglio e valorizzare i lieviti atutoctoni individuati dal gruppo di lavoro dell'Università di Verona”.
Il convegno, organizzato dal Consorzio Tutela Vini DOC Gambellara, è stato possibile grazie al contributo della Camera di Commercio di Vicenza , la Provincia di Vicenza, la Banca Popolare di Vicenza, la Regione Veneto e il Distretto del Vino Veneto, i Comuni di Gambellara, Montebello Vicentino, Zermeghedo e Montorso Vicentino.

Nicoletta Curradi

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